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Riceviamo & Pubblichiamo *
La notizia è arrivata come una mazzata, ed è di quella che ti spinge a chiedere conferma una volta e una volta ancora. Un giovane di trent'anni, Gaetano Arriese, è stato trovato impiccato a casa sua. Un suicidio? Forse l'ennesimo, in un paese che non conta nemmeno 3.000 anime e che ha già tragicamente registrato la morte, apparentemente assurda, di tanti giovani, troppi, un numero insopportabile che non si può, non si deve, ne si riesce a spiegare con chissà quali “razionali” motivi e malesseri dell'IO e dell'ES”. Perché Gaetano doveva sposarsi a breve e, pare, non avesse particolari problemi che potevano far pensare a un gesto così tragico.
Ma qualche cosa ci deve pur essere se, statisticamente, tanti giovani non ci sono più. Fatalità, disagio, una comunità senza spazi sociali validi, l'assenza di dimensioni emotive sufficienti? Forse l'una forse tutte messe insieme. Comunque questo non basta, da solo, a spiegare, a permettere di capire, a cercare di prevenire. Perché il punto è tutto qui. Qualche anno fa un tragico volo spezzò un'altra giovane vita. Destino assurdo, suicidio? Anche allora si parlò di assenza di validi motivi apparenti.
Il cronista e l'uomo cercarono con discrezione i perchè. Mi confrontai con un contesto giovanile (e non solo) che, chiuso “a riccio”, pensava di essere immune da gesti simili. Percepivo, indipendentemente da cosa fosse realmente successo, che il “male oscuro” allignava, subdolo e misterioso, proprio nell'apparente disinteresse di un mondo che scrive uomo e legge “IO”. La catena del disagio non si era, ne rotta ne incrinata. Ne parlai con amici che condivisero, volevo “lanciare l'allarme”.
Mi sconsigliarono: lascia stare, magari non saresti capito, mi dissero. Non scrissi un rigo e accettai, non pago, l'improbabile spegazione che "assolve ma non risolve", forse per tutelare la memoria del giovane e la riservatezza della famiglia. Fu un errore non farlo. Oggi il flasc mortale. Discrezione e riservatezza non possono più essere un alibi. Se un giovane muore la “sua” collettività sanguina, stretta tra il “cuore e l'intenzione”. Oggi Gaetano, ieri Francesco domani...?
Sembra esserci un problema, forse c'è e va oltre l'apparente normalità di un mondo “stretto” tra il lungofiume e il lavoro che sempre più spesso non c'è. Forse occorrono risposte forti, dialogo, incenso che profumi ben oltre l'abito e l'apparenza, dimensioni collettive che superino il taumaturgico vuoto della socialità delle parole sterili che non sono servite ieri ne serviranno domani.
Il mio non è un atto di accusa verso nessuno, men che meno verso la mia “seconda” comunità, è solo la consapevolezza di “chi vede” e sa che non si può e non si deve derubricare tutto a mero fatto personale. Lo dobbiamo a chi non c'è più, suicidi o incidenti che siano. Un fiore sulla loro MEMORIA.
Enzo Caputo
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