Diventano definitive le condanne per dieci imputati dell’operazione antidroga denominata “Polifemo”, che ha svelato un’intensa attività di spaccio a piazza Unione Europea, a due passi da Palazzo Zanca, e non solo. La sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato le sentenze di appello nei confronti di Domenico Bonasera (15 anni e 2 mesi di reclusione), Alessandro Amante, 12 anni e mezzo), Giovanni Forami (8 anni e sei mesi), Giovanni Vincenzo Rò (9 anni e 8 mesi), Placido Orecchio (8 anni, un mese e 10 giorni), Salvatore Amante (4 anni di pena), Alberto Boncordo (8 anni), Angelo Cannavò (8 anni e 2 mesi), Anna Bonasera (7 anni e 2 mesi) e Valentina Barbera (2 anni e 10 mesi). Più in dettaglio, i giudici della Suprema Corte hanno rigettato il ricorso del procuratore generale Maurizio Salomone nei confronti di Domenico Bonasera e Giovanni Rò riguardo all’esclusione del ruolo di promotori decisa in Appello. Non solo: hanno bocciato le istanze di annullamento delle sentenze di secondo grado presentate dagli avvocati Salvatore Silvestro, Antonello Scordo, Antonio Strangi, Tancredi Traclò e Giovambattista Freni. I dieci condannati in via definitiva, che hanno scelto di percorrere la strada del rito abbreviato, appartenevano a un sodalizio specializzato nella commercializzazione di sostanze stupefacenti (e tra i clienti molti erano giovanissimi). Un gruppo che, a giudizio degli inquirenti, era collegato al clan Mulè di Giostra. Il blitz della Squadra mobile scattò quattro anni fa, dopo che serrate indagini mostrarono attività minuziose e frenetiche, svolte quotidianamente per due mesi, tra piazza Unione Europea, alcuni locali della movida messinese e il rione Giostra. Ciascuno degli associati rivestiva un ruolo ben preciso e non mancavano punizioni corporali tremende (perfino l’ipotesi, poi scartata, di un omicidio) nei confronti degli “infedeli” ai vertici di quella che in un colloquio venne ribattezzata la “Banda del Municipio”. L’ordinanza di applicazione della misura coercitiva fu firmata dal gip Antonino Genovese, che accolse le richieste formulate dal sostituto procuratore della Procura distrettuale antimafia, Vito Di Giorgio, e dal sostituto procuratore Maria Pellegrino. I magistrati coordinarono un’indagine serratissima, in cui fondamentali si rivelarono le intercettazioni telefoniche e ambientali che diedero conto, soprattutto, dello spaccio nei dintorni di Palazzo Zanca. Della complessa e articolata “macchina” dello smercio di droga (dalle pasticche alla cocaina) facevano parte anche quattro minori, reclutati dai capi con la promessa di facili guadagni, con minacce e violenza
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