IL 10 febbraio di ogni anno ricorre il “Giorno del ricordo”
che commemora i tanti, molti, italiani massacrati dagli Iugoslavi di Tito e
gettati nelle “foibe”, fosse carsiche che occultano i cadaveri di migliaia di
italiani, a volte criminali di guerra ma, spesso, gente innocente il cui solo
torto era di essere italiani. Istituito con legge n. 92/2004 al Giorno del
ricordo è associato il rilascio di una targa commemorativa, destinata ai
parenti degli "infoibati" e delle altre vittime delle persecuzioni,
dei massacri e delle deportazioni attuate dai Titini in Istria, in Dalmazia o
nelle province dell'attuale confine orientale durante l'ultima fase della
Seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi. Per
l'occasione sento il bisogno di
ricordare questa giornata con la figura di Maria pasquinelli li – che rivive attraverso il mio libro
"Maria Pasquinelli- Dal Pantano d'Italia è nato un fiore” la cui edizione
è stata curata dalla “Pubblipress editore di Brolo”.
Maria Pasquinelli, che il prossimo 16 marzo compie 100 anni
e vive con la sorella fu una figura importante nel periodo storico che va dal
1943 al 1947. Dopo l'occupazione di Spalato il 12 settembre del 1943 i Titini
imposero il disarmo della Divisione Bergamo che presidiava la zona e iniziarono
a imprigionare soldati e civili italiani che furono poi sommariamente uccisi
nell'indifferenza dell'imbelle generale italiano Emilio Becuzzi. La stessa
Pasquinelli, che mi piace chiamare “la Pasionaria” fu imprigionata dai
partigiani e condannata a morte. Liberata dalle avanguardie tedesche, che aiutò
a recuperare da una fossa comune le salme di 106 civili italiani e militari
della "Bergamo" uccisi durante l'occupazione titina e documentò le
stragi degli italiani. Minacciata di morte dai comunisti, ma temendo anche
gli ustascia abbandona la città rifugiandosi
a Trieste. Se oggi si è squarciato il velo sulla vicenda lo dobbiamo in buona
parte all'opera della maestrina fiorentina che fece recuperare e filmare dai
tedeschi i cadaveri degli italiani infoibati.
si scrive Pasquinelli si legge Foiba
Dal pantano d'Italia è nato un fiore
Maria uccise a Pola, il 10 febbraio del 47, il brigadiere
generale inglese Robert W. De Winton che era in procinto di consegnare la città
ai Titini, regalando alla storia e all'Italia un gesto estremo.
- Traggo dal mio libro: “Tra la folla una giovane donna
dagli occhi nerissimi e assenti, i folti capelli pettinati all’insù e l’aspetto
fiero e sofferente, stava immobile, stretta nel suo cappotto rosso...” Il
Generale era appena sceso dall’auto quando d’improvviso l’atmosfera, che la
pioggia contribuiva a rendere quasi surreale, fu drammaticamente interrotta da
alcuni colpi di pistola. Quattro o cinque in rapida sequenza. Raggiunto in
pieno petto da tre pallottole, Robert W. De Winton, colpito al petto, si
accasciò un attimo su se stesso comprimendosi istintivamente con le mani le
chiazze di sangue sul torace che, copiose, già cominciavano a macchiargli
mostrine e decorazioni”. Ma perchè tutto questo? Da un lungo
studio del profilo e della vita della Pasquinelli, dei rapporti di
intelligens dei servizi segreti che avevano annunciato l'attentato agli inglesi
con nome e cognome dell'attentatrice e pure dalla varie ipotesi, alcune non sensa fondamento, tipo
che al gesto doveva seguire un'insurrezione della regione; che la pasionaria
fosse l'amante del comandante della X Mas e tanto altro ancora. Qualcuno, in
quell'oscuro crogiuolo che spesso lega la storia alla politica, ebbe
l'impudicizia di dire che si trattò delitto passionale.
La verità però e solo
una, semplice, scritta e consegnata in un documento, dalla stessa “Pasionaria”,
che emerse insieme ai corpi martoriati degli innocenti dalle foibe e si stampò
per sempre nell'animo della figura più splendida e coraggiosa del periodo
fascista- “Seguendo l’esempio dei 600.000 Caduti nella Guerra di Redenzione
1915-18, sensibile come loro all’appello di OBERDAN, cui si aggiungono le
invocazioni strazianti di migliaia di Giuliani infoibati dagli Jugoslavi dal
settembre 1943 a tutt’oggi, solo perché rei di italianità, a Pola irrorata dal
sangue di SAURO, capitale dell’Istria martire, riconfermo l’indissolubilità del
vincolo che lega la madrepatria alle italianissime terre di Zara, di Fiume,
della Venezia Giulia, eroici nostri baluardi contro il panslavismo minacciante
tutta la civiltà occidentale. Mi ribello – col proposito fermo di colpire a
morte chi ha la sventura di rappresentarli – ai Quattro Grandi che alla Conferenza
di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza
politica, hanno deciso di strappare una volta ancora dal grembo materno le
terre più sacre all’Italia, condannandole o agli esperimenti di una novella
Danzica o – con la più fredda consapevolezza che è correità – al giogo
jugoslavo, sinonimo, per la nostra gente di indomabilmente italiana, di morte
in foiba, di deportazione, di esilio.”
resti di infoibbati vengono portati alla luce grazie all'opera di Maria
pasquinelli
Per questo si impone un approccio diversocon le foibe e -
anche se è semplicistico esaurire il discorso in poche pagine,si può affermare
che una vergogna del tutto italiana, ha impedito che si processassero i
responsabile di questo crimine contro l'umanità che hanno nomi e cognomi che se
da un lato non furono mai processati perché, se da un lato la magistratura
italiana attraverso la sentenza definitiva della Corte di Cassazione, stabiliva
la cessata giurisdizione e di conseguenza l’impossibilità per la giustizia
italiana di perseguire i responsabili degli eccidi perpetrati in Istria, a
Fiume ed in Dalmazia durante e dopo la guerra, dall’altro l’INPS poteva invece
erogare tranquillamente la pensione e tutti gli arretrati relativi agli stessi
ex imputati e carnefici. Per questo è necessaria una commemorazione diversa,
sentita, schietta, legata a un viaggio sui luoghi, ecco la testimonianza che
passa attraverso un ritagli odi giornale ingiallito:
GIà, un ritaglio di giornale italiano ingiallito
dal tempo che mi diedE, con le lacrime agli occhi, a Pisino, la signora Alma
Stranj, che ancora oggi, a 80 anni e dopo 50 passati nell'ex Iugoslavia, sogna
ancora di morire in Italia presso il fratello a Bussolengo in provincia di
Verona. Alma, italiana in terra straniera, scese appoggiandosi a un baston, le
scale, mi accompagnò su un dirupo, mi mostrò una scritta che mi lasciò di
stucco “Bar della Foiba”, più in la, davanti al castello medievale di Pisino le
cui finestre danno direttamente nell'orificio della foiba apri il giornale e
lesse piano dal corpo di un articolo, perchè da quelle parti negano il massacro,”
“Muoio per la mia Patria, muoio per l’Italia, muoio per l’italianità
dell’Istria e della nostra Patria”. Si stropicciò gli occhi e disse: si
chiamava Stefano PETRIS, tenente Stefano PETRIS, combattente contro i Tedeschi
prima e i partigiani di Tito poi, venne fucilato dai Titini l’11 ottobre 1945.
In basso sul giornale, di suo pugno aveva disegnato un cuore e una rosa. Si una
rosa, bella come la scritta che dopo
l'arresto di Maria Pasquinelli, comparve in mille volantini su Trieste:
"Dal pantano d'Italia è nato un fiore"
Enzo Caputo